"Per rendere il sistema condiviso servono prima di tutto poche regole fondamentali. In primis, bisogna utilizzare poche tipologie diverse di contenitori per il vino. Poi c'è la questione delle etichette: negli ultimi dieci anni riscontro grosse difficoltà con le etichette autoadesive applicate sulle bottiglie, spesso irremovibili perché realizzate con plastiche particolari." "Se andiamo in un ristorante in Danimarca e ci portano una bottiglia riutilizzata con qualche graffio dovuto ai lavaggi, il cliente pensa: 'Questo produttore è attento all'inquinamento, fa bene' ed è contento. In un ristorante italiano, invece, se porti una bottiglia un po' rigata il cliente protesta subito. Sono due mondi diversi."
Intervista a Dimitrov Zoran del 23/12/2025
1. Che ruolo professionale ricopri, in quale realtà, da quanto tempo, in quale città/paese?
Sono il titolare di Newbiemmepi, azienda specializzata in lavorazioni conto terzi per imballaggi in vetro, spesso per il settore enologico. Un'azienda che affonda le sue radici nel lontano 1983-'84. Nata dall'intuizione di tre soci, è poi passata nelle mani di un unico proprietario fino al 2018, quando ho deciso di acquistarla io. Il mio legame con questa realtà è profondo: vi lavoro dal primo gennaio 2003, quando sono entrato come meccanico. Nel tempo sono cresciuto fino a diventare responsabile e, dopo il ritiro del precedente titolare nel 2017, ho rilevato l'intera attività. Abbiamo sede a Neive, in provincia di Cuneo, in Piemonte.
2. Senza pensarci troppo, quali sono le prime 3 / 4 parole chiave che ti vengono in mente se ti dico la parola “vino”?
“Ecologia” e “relazione tra produttore e consumatore”.
3. Oggi, secondo i principi della transizione ecologica, il riuso – come il vuoto a rendere – ha un potenziale superiore al riciclo. I dati mostrano che una bottiglia può essere riutilizzata 8–10 volte mantenendo sostenibilità economica, ambientale e qualità del prodotto. La vostra attività si inserisce perfettamente in questa logica. Avete già esplorato in che modo potreste diventare protagonisti del sistema del vuoto a rendere?
Circa due anni fa sono stato convocato al Ministero per discutere del riutilizzo delle bottiglie, con Verallia, il principale produttore di vetro, come maggiore promotore dell'iniziativa. Tuttavia, mancano ancora molti fondamenti nella legislazione italiana che potrebbero incentivare economicamente questa pratica.
Attualmente, quando si acquistano bottiglie nuove, si paga il contributo CONAI, una tassa ambientale obbligatoria destinata a finanziare la raccolta differenziata e il riciclo degli imballaggi. In pratica, già nell'acquisto del vetro nuovo è incluso questo contributo per il suo futuro smaltimento.
Il problema è che, pur essendo ormai l'unico contoterzista industriale in Italia in questo settore, non ricevo alcun incentivo statale che mi permetta di promuovere il servizio presso le cantine. Non è chiaro nemmeno se i produttori abbiano reale interesse in questa direzione, perché il tema è stato sostanzialmente abbandonato.
In Italia manca qualsiasi forma di riconoscimento economico: se la mia azienda recuperasse, ipotesi, 100 milioni di tonnellate di vetro all'anno, lo Stato non mi riconosce nulla. Eppure, un incentivo potrebbe essere riversato sui clienti attraverso una riduzione dei prezzi, rendendo così più conveniente e attrattiva l'operazione di recupero.
4. Quando dici che “siamo indietro” vuol dire che c'è un vuoto legislativo, c'è un vuoto economico?
Un vuoto totale. L'anno scorso il costruttore degli impianti mi ha raccontato che in Francia sono già nati un paio di centri di lavaggio, sostenuti da incentivi statali. In altri paesi europei la politica sta cambiando direzione, promuovendo attivamente il riutilizzo. In Italia, invece, non si muove assolutamente nulla.
La mia impresa è quindi lasciata a se stessa: deve trovare soluzioni autonome per essere competitiva ed economicamente sostenibile, e riuscire a convincere chi lavora nel settore vino a riutilizzare le bottiglie.
5. Ti vengono in mente altri paesi che abbiano delle attività virtuose simili?
Il primo anno avevo acquistato delle bottiglie che venivano esportate in Danimarca, dove esistono già centri di lavaggio. Si trattava di contenitori con una scritta alla base che identificava la zona di provenienza: bottiglie protette dal consorzio locale, che possono essere utilizzate solo da chi è iscritto.
I danesi acquistavano il vino da qui e lavavano le bottiglie, ma non potevano rivendere o dare in utilizzo ad altre aziende per via di questa tutela. Sono quindi venuti da me a proporre di ritirare, e abbiamo avviato un rapporto di ritiro mensile.
6. Ci sono altri paesi che vale la pena menzionare a livello europeo o extraeuropeo?
Anche in Svizzera, paese fuori dalla Comunità europea, esistono diversi impianti: mi risulta ne abbiano tre sul territorio nazionale. Lì la politica è però differente. Per il mercato interno utilizzano solo due tipologie di bottiglie – da mezzo litro e da un litro – e i produttori sono iscritti a questi centri di lavaggio, possedendo un certo numero di casse.
Questo semplifica enormemente il processo: tutti usano le stesse tipologie di bottiglie, quindi il ricambio e i costi sono molto più contenuti. La loro produzione oraria equivale alla mia giornaliera. In Italia, purtroppo, esistono in teoria duemila tipologie diverse di contenitori in vetro, il che rende tutto molto più complesso.
7. Duemila tipologie di contenitori di vetro in Italia?
Nel settore del vino è un mondo ancora più vasto, con moltissime tipologie di bottiglie. Anni fa le cantine hanno iniziato a personalizzare i contenitori, imprimendo il proprio nome direttamente sul vetro per costruire la propria immagine e il proprio brand.
Questo ha creato una frammentazione enorme: quando una bottiglia è personalizzata, nessun altro può utilizzarla. Anche se la recuperi, devi necessariamente eliminarla perché non può essere riutilizzata da altre aziende.
È per questo che dico: il settore è troppo aperto, manca un regolamento, non esiste alcuna normativa. Purtroppo è una vera giungla.
8. Se produttori di vino, ristoratori e consumatori iniziassero a fare rete attorno al riuso del vetro, il vostro ruolo diventerebbe centrale. Come vedete questa possibilità? Qual è il vostro punto di vista sulla creazione di un ecosistema condiviso?
Per rendere il sistema condiviso servono prima di tutto poche regole fondamentali. In primis, bisogna utilizzare poche tipologie diverse di contenitori per il vino. Poi c'è la questione delle etichette: negli ultimi dieci anni riscontro grosse difficoltà con le etichette autoadesive applicate sulle bottiglie, spesso irremovibili perché realizzate con plastiche particolari.
Per chi vuole entrare in questo mondo del riutilizzo, ci sono regole precise da rispettare: bisogna utilizzare etichette rimovibili. Esistono etichette autoadesive lavabili, ma il produttore deve ordinarle appositamente dal tipografo in quella modalità, così da poter recuperare il contenitore.
Sono regole di partenza: per fare riutilizzo bisogna cominciare dall'inizio. Non si può utilizzare un'etichetta non rimovibile, perché il nostro impianto lavora a 80 gradi e alcune etichette semplicemente non si staccano. Chi vuole fare recupero e riutilizzo deve quindi prepararsi alla base, utilizzando etichette autoadesive rimovibili e lavabili.
9. Vi considerate già parte attiva di questa filiera del riuso? Avete valutato le potenzialità commerciali, ambientali ed economiche che un modello di vuoto a rendere potrebbe generare per il vostro business?
Ma in primis, come ti dicevo, siamo in un settore dove non esistono regole: ognuno fa quello che ritiene giusto. La mia clientela è principalmente composta da piccole cantine che imbottigliano, consegnano ai clienti e, quando tornano a consegnare altro vino, ritirano le bottiglie usate per riportarmele. Io le lavo e gliele restituisco: è un giro chiuso, ma funziona solo se tutto è preparato correttamente fin dalla partenza, a cominciare dall'etichettatura.
Dieci anni fa solo il due per cento delle cantine utilizzava etichette autoadesive: la stragrande maggioranza usava carta e colla, molto più facili da rimuovere durante il lavaggio. Oggi la situazione si è ribaltata: solo il due per cento è rimasto fedele alla colla tradizionale, quella che gli impianti possono gestire agevolmente per lavare e sanificare i contenitori.
L'azienda è nata negli anni Ottanta, ha quindi una storia lunga. All'epoca era molto più semplice lavorare: bottiglie e contenitori, dal più piccolo al più grande, utilizzavano tutti etichette facili da rimuovere e sterilizzare. Negli ultimi dieci anni, invece, il passaggio alle etichette autoadesive e la moltiplicazione dei formati hanno reso il recupero molto più difficoltoso.
10. Nell'ottica di costruire una rete, chi ti immagini possa essere un partner strategico in questa evoluzione circolare delle bottiglie?
Sono i produttori di vino a dover agire. Io nel mio database ho circa 1400 cantine, tra piccole, grandi e di ogni dimensione, ma sono loro a dover prendere l'iniziativa. Ho visto produttori scrivere "bevi il contenuto, non l'etichetta" per sensibilizzare i consumatori sul recupero. Però manca una cultura diffusa.
Bisognerebbe innanzitutto formare il consumatore, fargli capire che la bottiglia in cui è stato messo il vino non è un contenitore usa e getta. Produrla richiede energia: macinare, fondere, modellare il vetro. E anche nel settore vinicolo, dove si producono le bottiglie, il recupero del vetro usato rappresenta solo il 10-15%: il 70-80% è sempre materiale nuovo.
Le 1400 cantine del mio database vengono tutte da me a lavare le bottiglie, ma con frequenze diverse: qualcuno una volta all'anno, qualcuno ogni due anni, altri sono clienti abituali che lavano ogni settimana. È un mondo ampio, dove il produttore di vino decide se vuole sostenere un'economia meno inquinante. Devono essere loro a partire con questa idea, perché io come contoterzista posso offrire il servizio, ma non posso obbligarli a farlo.
11. Quando citi le 1400 cantine, sono principalmente della provincia di Cuneo, del Piemonte, del Nord Italia?
La mia clientela principale è del Piemonte.
L'altro giorno sono venuti da Padova, vogliono portare qui le bottiglie, lavarle e ritirarle: bisogna valutare i costi di trasporto e la logistica.
Dipende sempre dal tipo di contenitore: ci sono bottiglie che costano nuove 20 centesimi e altre che arrivano a 80 centesimi o un euro. Più il contenitore è costoso, maggiore è il risparmio nel riutilizzarlo. Se costa 20 centesimi, gestire tutto il processo di ritorno e lavaggio può risultare più oneroso. Sono sempre i produttori, in primis, a dover decidere come comportarsi nell'economia del riutilizzo.
Quell'azienda di Padova mi ha contattato proprio perché a livello industriale sono l'unico in Italia.
Offro anche un altro servizio: capita che le cantine imbottiglino vino per l'export e un partner estero ordini, ad esempio, 100mila bottiglie ma poi ne ritiri solo 80mila. Le restanti 20mila hanno etichette personalizzate per quel cliente specifico. Con un macchinario riesco a togliere l'etichetta dal contenitore pieno di vino, così possono ri-etichettarlo per altri mercati. Salvo quindi il contenitore completo, con il vino già dentro.
12. In uno scenario di sviluppo del vuoto a rendere come nuovo segmento di business, quali difficoltà tecniche prevedete (es. differenze tra tipologie di bottiglie, stoccaggio, trasporto)? E quali soluzioni ritenete più efficaci per gestirle?
Il primo problema, emerso negli ultimi 10 anni, è l'etichetta autoadesiva: non riesci a eliminarla. Il contenitore finisce per essere buttato proprio a causa dell'etichetta, perché le colle specifiche utilizzate non permettono di rimuoverla dal vetro. A questo si aggiunge il numero elevato di contenitori diversi in circolazione.
13. Tu sapresti suggerire un'alternativa all'etichetta autoadesiva?
Esiste dai tipografi una carta autoadesiva ma rimovibile, lavabile, che non crea nessun problema. Quando sono stato invitato al Ministero, ho proposto di fare come è stato fatto recentemente con altre normative sulle etichette, introducendo requisiti specifici: chi produce vino per il mercato italiano dovrebbe usare carta lavabile. Risolveremmo così l'80% dei problemi.
La differenza sta nel materiale: la carta autoadesiva rimovibile si può lavare, mentre quella in plastica non permette di rimuovere l'etichetta dal vetro. Semplicemente passando alla carta si potrebbe risolvere gran parte della situazione. Al Ministero ero l'unico contoterzista del settore lavaggio presente, e ho sottolineato che per incrementare il riutilizzo basterebbe questa norma: chi produce per il mercato italiano usa carta lavabile.
14.Quali sono, secondo te, le opportunità del mercato dell’economia circolare del vino, sulle quali c’è margine di miglioramento, innovazione e investimento?
Di innovazione non si può parlare, perché è un settore abbandonato. Non esiste nulla di specifico: i costruttori di macchine non investono in soluzioni dove non c'è mercato. Nell'imbottigliamento, ad esempio, escono novità ogni giorno, macchinari nuovi continuamente. Nel mio settore, invece, nessuno ha interesse perché di fatto non esiste un mercato strutturato, non ci sono aziende, non c'è niente. Sei semplicemente abbandonato a te stesso.
Sono in questo settore dal 2003, sempre in questa azienda, sempre con questo lavoro. Negli ultimi vent'anni – e parlo con cognizione di causa – è un settore senza regole, senza sostegno, completamente abbandonato. Negli ultimi dieci anni, in particolare, tutti sono passati a etichette sempre più resistenti, rendendo il recupero sempre più difficoltoso.
15. Quali sono, secondo te, le attività più innovative da proporre ai consumatori della fascia 20-30 anni per sensibilizzarli al concetto di economia circolare del vino?
In primis, bisogna spiegare ai giovani la differenza tra riutilizzo e recupero: sono due cose ben diverse. Serve far capire quale costo e quale impatto ambientale ha produrre una bottiglia nuova rispetto a riutilizzarne una. Manca la conoscenza di base: non si parla mai di quanta energia costa produrre una bottiglia nuova contro il riutilizzo. È un settore senza cultura né informazione.
Se andiamo in un ristorante in Danimarca e ci portano una bottiglia riutilizzata con qualche graffio dovuto ai lavaggi, il cliente pensa: "Questo produttore è attento all'inquinamento, fa bene" ed è contento. In un ristorante italiano, invece, se porti una bottiglia un po' rigata il cliente protesta subito. Sono due mondi diversi.
Per esempio, la Coca-Cola in bottiglia di vetro, quelle piccole: sono progettate fin dall'inizio per essere riutilizzate fino a 28 volte. Quando costruiscono quel tipo di contenitore, hanno già la garanzia di 28 riutilizzi. Anche nel settore dell'acqua esistono impianti di lavaggio: fanno consegne, ritirano le bottiglie, le lavano e le rimettono in circolazione. Ci sono dei brand che recuperano circa 30 milioni di bottiglie d’acqua all'anno.
Siamo purtroppo lasciati a noi stessi. Non c'è nessun incentivo da parte dello Stato. Se lo Stato, ad esempio, richiedesse tre centesimi quando si compra una bottiglia nuova e me ne riconoscesse uno per il riutilizzo, io potrei trasferire quel centesimo al cliente abbassando i costi e invogliandolo a partecipare. Ma non esiste nessun sostegno di questo tipo.
16. Quali raccomandazioni dareste ai decisori politici per sostenere l’economia circolare del vino?
Servirebbe un regolamento sull'utilizzo delle etichette autoadesive non rimovibili: chiunque immetta un contenitore nel mercato interno non dovrebbe poter usare etichette non rimovibili. Questo è il primo passaggio fondamentale.
Altro punto: dare un incentivo, come avviene con il CONAI, ma al contrario. Riconoscere qualcosa a chi riutilizza, per dare una spinta concreta. Senza il lato economico, nessuno lo farà mai. Tutto parte sempre dall'aspetto economico.
Se, ad esempio, un contenitore nuovo costa 30 centesimi e noi glielo restituiamo lavato per 10 centesimi, il produttore farà i conti e dirà: "C'è una bella differenza, sono invogliato perché riesco a risparmiare". Ma se non c'è risparmio, considerate le difficoltà attuali nel reperire manodopera, tutti scappano.
Bisogna considerare che il produttore, quando fa le consegne, deve ritirare i contenitori vuoti consumati, riportarli in azienda, portarli da chi li lava e sanifica: se non c'è un vantaggio economico che gli permetta di coprire i costi di questa operazione e pagare chi fa questo lavoro, semplicemente non lo farà. Purtroppo, per qualsiasi cosa, è sempre il lato economico a fare la differenza.
17. Hai un libro, un film, un podcast, un magazine che ti senti di consigliare sul mondo dell’economia circolare del vino?
Non mi viene in mente nulla al momento.
18. La ricerca ha portato alla creazione della piattaforma www.circulareconomyforwine.it, una libreria digitale che raccoglie e rende consultabili le pratiche di economia circolare, con il potenziale di crescere ed evolversi nel tempo. Ritieni che possa essere uno strumento utile per il tuo lavoro? La utilizzeresti e la consiglieresti ad altri colleghi o attori della filiera del vino impegnati nella transizione circolare?
Visto che sono da solo, non posso confrontarmi con nessuno che faccia il mio stesso lavoro. Qualsiasi decisione devo prenderla autonomamente, sperimentare, fare prove: è molto difficile.
Non sono contrario ad avere informazioni e conoscenza, ma è un settore abbandonato. L'idea di informare è giusta, dare una spinta verso l'economia circolare è importante, però il problema è a monte: i giovani di oggi non hanno la conoscenza di base sul contenitore del vino, su come viene utilizzato e sull'intero processo.
1989
New Biemmepi è un'azienda con sede a Neive, in provincia di Cuneo, specializzata nel lavaggio industriale di bottiglie di vino, birra e olio. Fondata nel 1989, rappresenta oggi l'unica realtà contoterzista a livello industriale in Italia nel settore del lavaggio e riutilizzo dei contenitori in vetro. L'azienda utilizza le migliori tecnologie per garantire un servizio completo: dal lavaggio interno ed esterno alla rimozione delle etichette, dall'asciugatura al confezionamento in termopacchi. Con un database di circa 1400 cantine clienti, New Biemmepi si impegna quotidianamente a promuovere l'economia circolare nel settore vinicolo, nonostante l'assenza di incentivi e normative a sostegno del riutilizzo. Dal 2018 l'azienda è guidata da chi ne conosce profondamente storia e valori, avendovi lavorato fin dal 2003.